Buon sonno e Covid-19 esiste una correlazione?

Da alcuni studi effettuati in questi mesi di pandemia, sembra che esista una correlazione tra il buon sonno e il Covid-19.
Infatti chi dorme bene sembra più protetto dalle forme più gravi del Covid-19, abbassando il rischio di dover ricorrere alla terapia intensiva.
Tale ipotesi è affermata dal professor Luigi Ferini Strambi che ha rilasciato un’intervista a Maria Elena Perrero della Gazzetta dello Sport per
Gazzetta Active sezione salute e di cui citiamo l’articolo (https://salute.gazzetta.it/salute/15-11-2020/covid-19-il-neurologo-un-buon-sonno-riduce-lintensita-della-malattia-51035?intcmp=widgetHPactive):

Covid-19, il neurologo: “Un buon sonno riduce l’intensità della malattia”

“Il fatto di avere un cattivo sonno è associato ad un più difficile recupero, peggiora in generale la prognosi nei malati di Covid-19”, spiega il professor Luigi Ferini Strambi.

Dormire bene per proteggersi dalle forme più gravi del Covid-19, abbassando il rischio di dover ricorrere alla terapia intensiva e abbreviando l’ospedalizzazione. Sono queste due delle conseguenze di un buon sonno: lo ha spiegato a Gazzetta Active il professor Luigi Ferini Strambi, ordinario di Neurologia, Università Vita-Salute San Raffaele e direttore del Centro di Medicina del Sonno dell’IRCCS Ospedale San Raffaele Turro, Milano. “Se andiamo a considerare qual è il disturbo più frequentemente riportato dai pazienti Covid in fase
acuta in ambito neurologico e psichiatrico troviamo l’insonnia, riportata da oltre il 40% dei pazienti. Anche in fase post infezione, quando si è ormai negativi, è il disturbo che rimane più di frequente, presente in oltre il 60% dei casi. Quindi questa malattia va a caratterizzare sia la fase acuta sia la fase riabilitativa”, sottolinea il professor Ferini Strambi.

A che cosa è dovuto questo legame tra insonnia e forme acute di Covid-19?
“Il fatto di avere un cattivo sonno è associato ad un più difficile recupero per quanto riguarda la linfopenia, ovvero la scarsità di linfociti, uno dei grossi problemi di malati di Covid. Chi ha un cattivo sonno tende a recuperare molto più lentamente. I linfociti si normalizzano molto più lentamente nei cattivi dormitori. Uno studio condotto in Cina ha mostrato che tra i malati Covid ricoverati in terapia intensiva nessuno di loro era un buon dormitore, mentre il 12% era cattivo dormitore. Quindi il fatto di essere un cattivo dormitore peggiora la prognosi”. Ci sono conseguenze anche a livello di durata della malattia, oltre che della sua gravità? “Sì. Osservando la durata totale della degenza ospedaliera, infatti, è emerso che i cattivi dormitori avevano in media avuto bisogno di 33 giorni di degenza ospedaliera rispetto ai 25 giorni dei buoni dormitori. Si può dire che il buon sonno abbassa l’intensità della malattia”.

Perché nei paucisintomatici spesso si ha una profonda sonnolenza?
“La sonnolenza è un meccanismo di difesa dell’organismo che cerca di farmi dormire di più per far funzionare meglio il sistema immunitario nel sonno profondo. Il consiglio che si può dare a tutti i paucisintomatici è di dormire il più possibile”.

A livello neurologico il coronavirus Sars-CoV-2 provoca danni, oltre alle note perdite di olfatto e odorato?
“Uno studio pubblicato sul Journal of Neurology e firmato tra gli altri dagli italiani Matilde Leonardi e Alessandro Padovani ha mostrato la presenza di manifestazioni a livello del sistema nervoso centrale e periferico legate al coronavirus. Molti coronavirus, infatti, causano, oltre all’infezione respiratoria, disturbi neurologici come mal di testa, vertigini, coscienza alterata, atassia, attacchi epilettici, encefaliti e anche ictus”.

Una volta terminata la malattia e la positività al coronavirus Sars-CoV-2 spariscono anche le manifestazioni a livello neurologico?
“Al momento non ci sono dati sufficienti sull’evoluzione a lungo termine: sono in corso diversi studi ma servirà un follow up più lungo dei pazienti”.

Fonti: Maria Elena Perrero per Gazzetta Active sezione salute.

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